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Comunicazione del Presidente della Commissione Legale
Angelo Schiocchet (Angelin)
 ANGELO SCHIOCCHET (Angelin)
Il diavolo delle Tofane
Nato nel 1891 a Sois ove morì il 30 agosto 1968, visse modestamente nonostante il suo brillante curriculum militare, come addetto al macello comunale di Belluno.
 
 
(notizie da “L’ALPINO”, 1942)
 
Diavolo delle Tofane? Non può essere che un Alpino. E che Alpino! Schiocchet, infatti, è il prototipo della famiglia scarpona: buono e allegro come un fanciullone, forte come un leone. E ardito? Non ne parliamo. I compagni lo chiamavano e lo chiamano tutt’ora, il diavolo (invero i compagni d’arme del 7° lo chiamavano “el diaol”, il diavolo delle tofane, ma poi col tempo divenne “il Lupo delle Tofane”). Appunto perché ha saputo superare tutti gli ardimenti possibili e, da buon alpino, senza menarne vanto, come la cosa più naturale di questo mondo. Dal più al meno hanno fatto così tutti gli alpini autentici.
Schiocchet ha cominciato la sua vita di combattente in Libia; ma le cose colà gli andarono maluccio, pur avendo fatto un mondo di bene. Un giorno – maledetto giorno! – venne passata la rivista ai viveri di riserva; Schiocchet avrebbe potuto, come tanti altri, giocare di astuzia, ma invece, senza confondersi e mostrando le sue  grandi mani vuote all’ufficiale che aggrottava le ciglia e stava per prendere annotazione, disse franco e tondo: “Avevo fame!” Fu così che, con una buona zuppa di prigione, s’ebbe anche la dispensa dalla carica di zappatore. Pazienza la prigione! Ma rientrare al plotone e non essere più speciale… non poteva andargli giù. E’ tornato in Italia, a guerra finita, ne parlava sempre accorato: gran disgrazia, la sua!
“Fai il bravo”. Gli disse un giorno il suo nuovo maggiore: “vedrò di riparare al dolore che ti hanno recato in Libia, facendoti un’altra volta zappatore. Andrai intanto come allievo a Rocca Pietore per preparare gli accantonamenti per il Battaglione. Ma bada al vino, che talvolta ti fa perdere la sinderesi e sciogliere, più del necessario, lo scilinguagnolo”.
“Signor sì”. E se ne andò a Rocca, contento come una pasqua anche perché l’odore della polvere si faceva sentire più vicino. Si era alla vigilia dell’entrata in guerra e ci si avvicinava alla frontiera.
Una sera, mentre gli zappatori riposavano, s’incendiarono d’un tratto alcune case di Caracoi, un gruppetto di abitazioni prospicienti a Rocca Pietore, sul pendio opposto della Pettorina: ne diede inaspettato avviso il rintocco della campana martello. Gli zappatori, manco a dirlo, accorsero tutti in un batter d’occhio; quel che fecero non occorre descrivere: pur senza elmetti e senza pompe, senza attrezzi speciali, s’improvvisarono consumati pompieri, riuscendo in breve tempo ad isolare il fuoco minaccioso. Schiocchet, nero come uno spazzacamino, si era prodigato fin da principio per salvare qualche cosa delle casa ardenti; lo si era visto entrare ed uscire da quei bracieri con una scioltezza da vero diavolo, abituato all’inferno più infuocato. Quando s’alzano grida disperate: “Manca el vecio! Manca el vecio! Ah Signor! Me pare, me pare!”.
“Dove, dove elo?” domanda Schiocchet.
Gli viene indicata una finestrella sopra una camera in fiamme. Il nostro uomo afferra una scala, vi si arrampica come scoiattolo, sparisce nella finestrella. Passano pochi istanti, e Schiocchet riappare recando sulle sue robuste spalle un vecchio, ancora vivo.
Tra montanari non si usano gli applausi: direi che non sono consentiti. Qualcuno gli sussurrò: “bravo”. Qualche altro osservò: “che bulo!” e tutto finì lì: perché Schiocchet per ottenere una medaglia al valor civile non ha trovato Ministro che avesse tempo di occuparsi del suo caso. Quante volte succede agli Alpini!.
Schiocchet inizia la guerra al Passo della Fedaia con un altro disappunto: non ha potuto essere nominato speciale.
L’articolo continua raccontando altre imprese del valoroso combattente che vede spesso le spalle del nemico che ripiega con molta sollecitudine.
Ricordiamo le decorazioni insignite:                            
Medaglia di bronzo al v.m.:
“Dando prova di grande ardimento contribuì alla resa di un posto di guardia. Passo Ombretta, 28 maggio 1915”.

Seconda medaglia di bronzo al v.m.:
“Rimasto gravemente ferito l’ufficiale presso cui prestava servizio di guida, sotto il continuo fuoco delle artiglierie nemiche, da solo e allo scoperto si caricava l’ufficiale sulle spalle e lo trasportava al posto di medicazione. Monte Sief, 11 novembre 1915”.

Medaglia d’argento al v.m.:
“Offrivasi volontariamente con due compagni per snidare dei tiratori nemici da una posizione dalla quale disturbavano coi loro tiri i nostri reparti. Disimpegnò tale compito con singolare perizia, ardimento e sprezzo del pericolo nella lotta che seguì in cui due compagni caddero uccisi ed egli rimase ferito. Alla sera tornò sulle posizioni per recuperare la salma di uno dei caduti. Cima Bois (Tofane), 7-12 luglio 1916”.
 
 
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